Fumetto e letteratura nell'età dell'AI - Lorenzo Barberis

2022-10-02 13:26:08 By : Mr. Tengyue Tao

In questi ultimi tempi è esploso il fenomeno dei programmi TTI, Text To Image.

Si tratta, come dice il termine stesso, di programmi in grado di trasporre un testo in un’immagine, con un grado sorprendente di efficacia; pur, ovviamente, avendo ancora aspetti rudimentali. Tuttavia, una illustrazione realizzata con MidJourney ha già superato un primo “test di Turing” (per così dire) qualificato: una giuria in USA ha infatti premiato un’opera realizzata col programma a un concorso (notizia che ha raggiunto perfino la “copertina” del TG1).

L’avvento di tali TTI, naturalmente, ha suscitato un grande dibattito nel mondo delle arti visive, incluso l’ambito del fumetto. Per quanto, infatti, l’applicazione immediata pensabile sia l’illustrazione, è possibile adattare queste tecnologie anche al fumetto. Qui un esempio dei primi realizzati:

Numerose, come detto, sono state le reazioni nell’ambito della “bolla di filtro” dei fumettisti italiani; un intervento più sistematico è stato quello di Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ, artista che opera in modo significativo anche nell’ambito fumettistico (“Golem”, “Monolith”).

https://www.lrnz.it/clicktoimagine

La posizione di LRNZ riassume e analizza, in modo efficace e articolato, quella che si può definire la posizione critica. Viceversa, un intervento più favorevole alle nuove tecnologie è quello di Francesco D’Isa, che ha realizzato anche diversi fumetti con questo nuovo metodo.

Non fa tutto il computer: il ritorno di vecchie perplessità nell’arte digitale – L’INDISCRETO

Un altro recente intervento, in un quadro che è inevitabilmente molto in movimento, è quello di Gregorio Magini:

Creatività non umana – Singola | Storie di scenari e orizzonti

Anche la posizione di Magini è favorevole, ma pone dei distinguo rispetto alla posizione di D’Isa. In generale, va detto che – meritoriamente – gli interventi più qualificati, per ora, non si muovono sulla dicotomia semplicistica “Apocalittici VS Integrati” resa celebre dal notissimo saggio di Eco del 1964; ma si tratta in ogni caso di posizioni articolate e sfumate.

Magini aveva, del resto, già indagato l’uso di programmi per scrivere testi in un pezzo fondante:

Macchine che scrivono romanzi | Not (neroeditions.com)

Un pezzo che, per chi scrive di fumetto, potrà tornare ancor più utile tra qualche anno (o meno?) quando le due tecnologie si unificheranno producendo un fumetto scritto e disegnato “da un computer”, anzi, “da due computer” in collaborazione. Sintesi hegeliana o, meglio ancora, una fusione di tecnologie come quelle di Civilization di Sid Meyer (es: “Explosives + Metallurgy = Gunpowder”).

In ambito fumettistico, ha trattato l’argomento anche Dini su Fumettologica:

L’intelligenza artificiale al tempo della sua riproducibilità tecnologica – Fumettologica

Questi sono i riferimenti che mi paiono più “autorevoli” presenti al momento, da cui consiglio di partire per seguire il dibattito in continua evoluzione, seguendo, se si vuole, anche gli autori indicati. Se troverò nuovi riferimenti di rilievo provvederò a un aggiornamento. Ovviamente, ognuno di questi articoli contiene poi rimandi ad altri interventi preziosi, che non sto a riprodurre ulteriormente qui, ma che consiglio di esplorare seguendo la natura rizomatica della rete al suo meglio.

Aggiungo qui alcune mie considerazioni, in connessione particolarmente all’ambito letteratura e fumetto, che è quello che mi interessa.

Non mi addentrerò particolarmente nell’aspetto che più attanaglia la sfera fumettistica, ovvero quanto tali programmi sottrarranno spazio lavorativo ai disegnatori fumettistici umani. Personalmente, tenderei – da non addetto ai lavori – a dubitare una influenza eccessiva: ci sarebbero già da tempo mezzi per ottimizzare la narrazione fumettistica in chiave digitalizzata accettando di modificare significativamente tale narrazione: penso alla via tracciata da Pepe Moreno in “Batman – Digital Justice” già negli anni ’80. Un esperimento notevole, in cui – allora – il risparmio consentito dal cut and paste di figure digitali era bilanciato dalle difficoltà per spingere il digitale d’allora ai massimi livelli. Ma l’opera non ha mai avuto un reale influsso sul mainstream, nemmeno quando tali espedienti digitali avrebbero potuto essere più agevoli.

Venendo ai miei esperimenti preliminari a queste mie riflessioni, premetto inoltre che le mie prove sono avvenute col più rudimentale DALL-E mini, che offre una versione gratuita in grado di dare un output di nove immagini (quasi una griglia fumettistica) tra cui l’utente può scegliere, tutte a bassa definizione.

Il nome del programma, DALL-E, è come noto un calembour tra Salvador Dalì, il più noto esponente del surrealismo, e il robottino WALL-E, che in una terra inquinatissima del futuro compatta rifiuti in cubi compatti, mentre un’umanità inetta trascorre la sua vita nell’ozio su una base spaziale, priva di ogni stimolo grazie all’assistenza delle macchine.

Un calembour riuscito, quindi, in quanto i due termini non paiono casuali: Dalì e in genere il surrealismo sono la scelta di stile migliore da impostare – per un utente meno esperto, almeno – perché i glitch della macchina possono sembrare dissimulati come variazioni intenzionali, di stampo “surreale”.

WALL-E richiama la IA servizievole che ci aiuta gratuitamente, ma se vogliamo è quasi una sottile autocritica riprendere un robottino che compatta l’immondizia in piccoli cubi efficienti, se vogliamo leggerla come una metafora. Le immagini prodotte dall’umanità dal 100.000 a.C. ad oggi sarebbero una gigantesca “discarica di informazioni”, che il DALL-E rielabora compatta in nove graziosi quadretti in favore dell’utente (producendo, in questo caso, ulteriore rumore di fondo, invece dell’utile “decluttering” operato dal robottino disneyano).

Ma il calembour è brillante anche perché mi pare che il massimo interesse che il programma offre sia quello del calembour visuale. Ad esempio, immaginare Batman disegnato da Giotto di Bondone o da Magritte, o altri intrichi, dove di solito la cosa più semplice è prendere una grande icona della cultura pop di massa – dagli anni ’50 in poi – e farla interpretare da un artista “storico” – dagli anni ’50 in giù. Si tratta di esperimenti già fatti, ovviamente: ricordo ad esempio quelli di Pablo Eucharren su “Il Grifo”, con, per dire, Mickey Mouse disegnato da Matisse, o Popeye da Kandinsky. In quel caso erano vertici di virtuosismo, mentre il gioco con l’AI produce al limite, appunto, un calembour visuale sbrigativo.

Giocando con DALL-E, ho ad esempio provato a combinare i supereroi più iconici – a partire dal più iconico: Superman – con gli stili di artisti altrettanto iconici, come detto. Alcuni esperimenti non funzionavano, altri risultavano efficaci ma “ovvi”. Con Escher, la cosa interessante è che ad essere ricombinati non sono la figura di Superman e lo stile dell’artista, ma lo stemma con la S e le classiche scale impossibili escheriane. Solo un calembour visuale, ovviamente, ma che mi risulta relativamente inedito.

Si possono ovviamente realizzare infinite altre crasi, naturalmente, ma il gioco dell’ircocervo in grado di solleticare un guizzo d’attenzione al lettore, da Umberto Eco in giù, si ottiene idealmente nella mescolanza di alto e basso.

In fondo, è lo stesso gioco che soggiace – dichiaratamente o meno – nella ripresa del letterario in chiave fumettistica: la sorpresa di un “presunto alto” (il letterario) che viene adattato in un “presunto basso” (il fumetto).

Questo, naturalmente, vale nella percezione di massa fino a uno spartiacque non ben identificabile – diciamo per comodità che la transizione è negli anni 2000 e si compie in quelli 2010, e oggi mostra anche elementi di crisi – in cui diviene mainstream la nobilitazione del fumetto in “graphic novel”.

Per questa ragione, potenzialmente, è plausibile che funzionino, in futuro, molte operazioni di questo tipo, approfittando del rinnovato effetto novità. “Dante a fumetti” sorprende nel 1949, quando Guido Martina lo adatta su Topolino; ma oggi è ormai da tempo ordinaria amministrazione. “Nel mezzo del cammin: il MidJourney dantesco” può avere un effetto efficace nel colpire l’immaginazione.

Non è un caso, forse, quindi, che il primo fumetto pubblicato in cartaceo su un quotidiano nazionale e realizzato tramite una TTI sia di uno scrittore e contenga forti rimandi letterari.

L’autore è Vanni Santoni, scrittore che ha indagato con profondità le controculture, e che ha realizzato probabilmente il primo fumetto realizzato con MidJourney stampato su una pubblicazione uscita in edicola, come gli viene anche riconosciuto da Wikipedia English, che lo cita a tale proposito come esempio rilevante della nuova arte.

L’autore parla di “proto-fumetto”, anche se personalmente, seguendo il McCloud, non sono d’accordo, in quanto ha le caratteristiche essenziali: più giusto parlare, come egli fa, di “un fumetto del 1906”, per dire senza l’uso, per dire, del balloon e senza dinamismo delle scene, difficile da ottenere dalle TTI per ora.

Vanni Santoni ha realizzato anche un fumetto su Linus di agosto, il primo cronologicamente, e uno per l’Indiscreto, visibile online qui:

Il destino dell’errante – L’INDISCRETO

Si tratta in questo caso di fumetti più avvicinabili a un certo tipo di fantascienza, di cui magari parlerò in un pezzo successivo. Ma veniamo al fumetto de “La lettura”:

Già il titolo scelto, “Anna Karenina sono (più o meno) io” mi pare assommi una triplice citazione letteraria: Tolstoj, ovviamente, Flaubert (“Madame Bovary c’est moi”) e Pirandello, con l’ironico “Così è (se vi pare), dove la parentesi smonta sarcasticamente la perentorietà dell’affermazione precedente. Lo stesso vale qui, mi pare, dove similmente la rivendicazione di identità tra autore e opera mi pare avere il valore di autodifesa (ironica, come si è detto) sulle possibili critiche rispetto al fumetto “fatto al computer”.

Vanni Santoni adatta qui, intelligentemente, un taglio metanarrativo: racconta tramite la TTI dei suoi esperimenti con la TTI. Il gioco è insomma sempre interamente dichiarato, anche nel fatto di usare “prompt” (indicazioni date al programma) assolutamente minime. In modo corretto, similmente, Santoni indica la IA come autrice dei disegni (mi ha fatto pensare che su 2000AD degli anni ’90 i disegnatori si firmavano ART ROBOT per darsi un vezzo di fantascienza…).

Le due tavole (a tal proposito, la definizione di “graphic novel”, da sempre usata dal Corriere per questa rubrica, è impropria, non essendoci dimensione romanzesca: è al limite una breve “novella grafica”) riflettono nella struttura l’intento di intervento minimo, riproponendo una griglia regolare in immagini quadrate, le “polaroid di instagram” che sono divenute uno standard visivo online. L’aggiunta dei testi si limita a un voice over minimale, didascalie quadrate in Times New Roman.

Tutta l’esplorazione è condotta sul filo dell’interrogazione letteraria, nella costante verifica che pecore elettriche sogni l’androide. Il titolo, come detto, ci avverte di tener conto di una distinzione ironica, e quindi l’entusiasmo dell’io narrante – sovrapponibile a Santoni: parla dei suoi romanzi in prima persona – è quello del personaggio, non necessariamente dell’autore (anche vista l’evoluzione ironica della storia).

Quindi, se da un lato si resta ammirati dall’abilità tecnica di MidJourney, del resto, nell’osservare il “grado zero” del suo stile, è impossibile non notare un certo gusto kitsch, da “buona cosa di pessimo gusto”. Le immagini dei personaggi che vengono immaginate da MJ sembrano realizzate in perfetto stile pittorialista, ovvero quello delle prime fotografie realizzate con una mentalità che ancora guarda al pittorico. La cosa è interessante, perché ovviamente siamo di fronte a una transizione, nella cultura dell’immagine, paragonabile potenzialmente al passaggio della nascita della fotografia (che, a sua volta, introduceva la possibilità di generare immagini “automatiche”).

Oggettivamente ci si trova però di fronte a un imbarazzo nel giudicare “i disegni di MidJourney”: infatti Santoni dichiara di aver lasciato libera l’AI, ma all’interno di un fumetto che è un gioco di specchi, e quindi, in realtà, potrebbe aver dato istruzioni un po’ più stringenti alla macchina. L’autore, da me contattato, ha confermato di aver inserito qualche rimando più preciso (ad esempio per generare “Hal Incandenza”); nel fumetto dell’indiscreto invece testo e prompt coincidono (ci torneremo).

Per ora, una prima conclusione molto provvisoria potrebbe essere il fatto che per valutare il nuovo fumettismo nato dall’AI disegnatrice (in attesa che divenga autrice completa: non ci manca molto, a mio avviso) sarà utile avere la sceneggiatura dettagliata del prompt scritto dall’autore dei testi; come, del resto, sarebbe ideale anche nel recensire un fumetto.

Ma il discorso è molto vasto e, non solo su questi lidi, appena agli inizi.

Non conoscevo questa nuova tecnologia e grazie per averne scritto un articolo. Faccio qualche considerazione a caldo quindi poco ponderata. Si tratta, ancora una volta, di una prevaricazione del testo scritto rispetto a quello visivo (almeno concettuamente), ogni immagine è figlia di un testo primigenio come se la vera essenza del visuale fosse il verbale. Questo lo trovo già un limite poi magari a livello pratico ne potranno uscire dei lavori interessati ma giocati più sulla parola che non su quanto rappresentato. Per quanto riguarda i fumetti, che comunque mi sembrano ancora un ulteriore passo tecnologico per il momento, sembra quasi un metodo marvel computerizzato: sceneggiatore da una parte, disegnatore dall’altra che esegue le istruzioni (sto semplificando molto) di fronte ad un prodotto del genere la critica potrebbe utilizzare gli stessi strumenti attuali per analizzare la sceneggiatura e fare considerazioni nuove sul lato disegno; magari non lo auspico ma lo posso trovare interessante. Credo comunque che a parte un po di eccitazione data dalla novità (del tutto giustificata) non sia questa la strada del futuro, non è in un tecnologia che riduce il visivo ad una descrizione didascalisca del testo il vero indirizzo verso cui ci stiamo muovendo. Scusami per l’eccessiva lunghezza e come ho detto sono impressioni a caldo su un argomento che ho trovato molto interessante.

Considerazioni interessanti come al solito, grazie dell’intervento! In buona parte concordo: in sostanza, credo che, se diventerà un filone, sarà almeno inizialmente un discorso a parte, una nicchia sperimentale. Si tratta, comunque, di una evoluzione affascinante, con implicazioni per tutte le arti.

Nato a Mondovì nel 1976, laureato in Lettere a indirizzo artistico presso l’università di Torino (2000), insegna italiano e storia alle superiori. Scrive per Culture Club 51, la rubrica di cultura del settimanale di Mondovì L'unione monregalese. Il suo blog personale è, dal 2008, barberist.blogspot.com. Si occupa di arte visiva, letteratura e fumetto e del rapporto tra i tre ambiti; con Wundergammer.com (2010-2012) ha anche partecipato a un esperimento seminale di critica d’arte del videogame. Collabora al progetto CuNeoGotico (2013-2016), dove ha curato i testi del catalogo per la parte relativa al fumetto, e al progetto DKMO della casa editrice Il Girovago, per cui ha realizzato la prefazione alla parte letteraria del volume. Per il blog network de Lo Spazio Bianco cura dal 2016 il blog Come un romanzo, dedicato al rapporto tra fumetto e letteratura.

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