Vecchi giochi e filtri CRT: è il modo giusto per preservare un classico?

2022-09-11 08:37:38 By : Ms. Jenny Chen

Qualche giorno fa Square Enix ha annunciato Tactics Ogre Reborn, nuova edizione, rinnovata nell'estetica e nel gameplay, di uno dei migliori giochi di ruolo tattici di sempre. Si tratterà della quinta versione del titolo originariamente pubblicato nel 1995 su Super Famicom, con il nome di Tactics Ogre: Let Us Cling Together; sarebbe poi sbarcato sia su PlayStation e SEGA Saturn, con pochissime novità di rilievo, sia su PSP, con quello che ne è a tutti gli effetti un remake, dato che apporta sostanziosi cambiamenti in praticamente ogni aspetto dell'esperienza La notizia è stata accolta con favore dagli appassionati, ed è facile capire il motivo. Le qualità del gioco sono indiscutibili: come Final Fantasy Tactics, del quale è una sorta di prequel spirituale, mescola una storia matura, dalle tematiche profonde e d'impatto (il director e sceneggiatore Yasumi Matsuno sviluppò una trama vagamente ispirata agli accadimenti nella ex Yugoslavia e ad altri conflitti etnici), un cast di personaggi memorabili e carismatici e, soprattutto, un gameplay complesso, stratificato e ramificato. C'è però un elemento riguardo il quale sono stati sollevati, come in altri casi analoghi, ben circostanziati rilievi: il comparto tecnico e artistico.

Non è certo da poco che Square Enix opera riproposizioni dei suoi grandi classici, eppure ogni volta, scegliendo la via del porting piuttosto che quella del remake, incappa quasi sempre negli stessi errori. Errori che i giocatori puntualmente segnalano e che solo occasionalmente vengono sistemati, ma la cui reiterazione risulta piuttosto straniante. Come altri giochi prima di lui, anche Tactics Ogre: Reborn proporrà un'estetica "rinnovata" che, nelle intenzioni della compagnia, dovrebbe essere una modernizzazione di quella originale, grazie all'ausilio dell'alta definizione. All'atto pratico però sembra l'annullamento della pixel art originale. Ciò che si vorrebbe far passare come preservazione dell'opera, attraverso una sorta di sua attualizzazione visiva, ne è a tutti gli effetti una modifica che non rispetta la visione artistica di partenza.

Quello che Square Enix ha fatto negli ultimi anni è stato prendere l'estetica originale e applicarci sopra dei filtri atti a rendere sprite e ambientazioni fatti di pixel un qualcosa di vagamente simile a una versione in alta definizione. Vagamente, appunto, perché l'utilizzo dei filtri e, più di recente, dell'upscaling tramite intelligenza artificiale, in realtà li trasforma in elementi dalle linee sì più morbide e nette, ma del tutto privi di quel livello di dettaglio infuso in origine. Stando ai primi screenshot pubblicati è esattamente quello che è stato fatto con Tactics Ogre: Reborn. Ci se ne rende conto già alla prima occhiata: i colori e i dettagli degli sprite dei personaggi sono impastati, e una delle pixel art più belle di sempre viene banalizzata. È vero che alcuni elementi (le scarpe dei personaggi, per esempio) sono stati ridisegnati a mano, ma nel quadro complessivo ciò conta molto poco. Totalmente incomprensibile è anche la scelta di modificare elementi dell'interfaccia e font, ancora in maniera peggiorativa, per un risultato per nulla funzionale e piuttosto asettico. L'elenco purtroppo continua: pensiamo alle prime riedizioni dei Final Fantasy bidimensionali, caratterizzate da scelte stilistiche decisamente discutibili, o alla nuova versione di Chrono Cross, impoverita a causa di un uso sconsiderato dell'upscaling tramite intelligenza artificiale.

Ma non è di certo solo Square Enix ad avere problemi riguardo il modo in cui riproporre in forma moderna l'estetica di giochi di quasi trent'anni fa. Altre compagnie non usano filtri o ne implementano di meno invasivi, ma anche il solo limitarsi a portare su schermo sprite e fondali così come venivano generati dalla console (in gergo "raw pixel") è in realtà un'approssimazione di quella che era l'esperienza visiva originale. Più rispettosa e conservativa, ma sempre un'approssimazione. Il motivo è semplicissimo: i giochi venivano riprodotti su TV a tubo catodico, e la loro componente tecnico-artistica sfruttava in maniera intelligente le caratteristiche, sia positive che negative, di tali apparecchiature per mettere in scena un'estetica quanto più piacevole ed elaborata possibile. Questo, in linea di massima, è valso fino alla quinta generazione di console (Nintendo 64, PlayStation, SEGA Saturn) ed è specialmente valido per i giochi bidimensionali. La principale tra tali caratteristiche, perché più evidente all'occhio, è quella delle linee di scansione. Semplificando molto: le console generavano un'immagine di 240p di risoluzione, che per essere adattata alle 480 linee verticali delle televisioni veniva intervallata da linee vuote (nere, quindi). Impropriamente, le linee "nere" sono definite linee di scansione (ma lo sono tutte quelle su schermo, in realtà); tecnicismi a parte, contribuiscono grandemente ad arricchire l'immagine, donandole un dettaglio che altrimenti non avrebbe, soprattutto negli sprite e nei ritratti dei personaggi. Unitamente alla sfocatura gaussiana del tubo catodico, inoltre, la rendono più morbida rispetto a quanto un insieme di pixel blocchettosi naturalmente produrrebbe.

A un'occhiata attenta, però, le immagini su CRT presentavano linee nere non solo orizzontali, ma anche verticali. Quelle, sempre semplificando, erano l'ombra della maschera di separazione, ovvero il "filtro" posto immediatamente prima del retro dello schermo che "decideva" quali punti dello schermo venivano illuminati e con che colori, direzionando i tre fasci di elettroni prodotti dal catodo. Pur molto meno evidenti delle linee di scansione, anch'esse contribuiscono sensibilmente alla definizione dell'immagine.

C'è poi la questione delle caratteristiche dei cavi che collegavano le console alle televisioni. Le console 8 e 16 bit venivano commercializzate con il terribile cavo RF, che andava collegato alla presa antenna della TV; dato che univa audio e video in un unico segnale, produceva un'immagine di scarsa qualità; meglio andava con il composito (che sarebbe poi diventato lo standard nelle confezioni delle console fino all'alta definizione), nel quale tali segnali erano separati e quindi l'immagine prodotta era molto più pulita. Comune ai due era una caratteristica negativa, il "color bleed": il colore in sostanza sbavava leggermente fuori dai pixel che tingeva. Quello che era un problema veniva però sfruttato in maniera sapiente dagli sviluppatori, che avevano in mano macchine dalle capacità limitate in termini di colori esprimibili.

Il dithering è una tecnica dalla facilissima implementazione ma dall'efficacia assoluta. Creando con i pixel un motivo a scacchiera, alternando tonalità scure e chiare, si produceva un effetto sfumato, ottenendo colori che andavano al di là delle capacità tecniche delle console. Inoltre, il dithering veniva usato per creare delle trasparenze sulle piattaforme incapaci di farlo (come SEGA Mega Drive, ma l'espediente veniva usato anche su Super Nintendo, che invece era capace di simularle in maniera rudimentale). L'esempio classico che viene utilizzato per mostrare il dithering in azione sono le cascate in Sonic the Hedgehog, su SEGA Mega Drive. I giocatori di lunga data ricorderanno che c'erano altri due cavi a disposizione per collegare console e TV: l'S-Video e l'RGB. Il primo era esclusiva delle regioni NTSC, il secondo di quelle PAL. La qualità dell'immagine che generavano era notevolmente superiore rispetto all'output dell'RF e del composito, ma la pulizia e la definizione avevano un costo: la perdita di tutti quegli effetti resi possibili dagli artefatti, proprio come il dithering. Le appena citate cascate diventano in Sonic semplicemente delle linee verticali di pixel in movimento. Il che ci porta a una riflessione: meglio la fedeltà alla visione artistica originaria o meglio una maggiore pulizia e definizione, ma perdendo molta dell'identità estetica?

I grandi classici del passato oggi vengono proposti in versione raw pixel o attraverso gli sciagurati filtri di cui sopra, ma per quanto l'immagine possa essere di qualità in realtà perde del tutto il senso della pixel art originale. Per rispondere alla domanda: ciò di cui abbiamo bisogno oggi sono filtri che replichino in maniera convincente l'esperienza visiva della televisione a tubo catodico e che quindi recuperino e valorizzino l'estetica originale. Qualcuno ha provato a introdurli, per esempio per i giochi di Nintendo Switch Online è possibile selezionarne uno, ma è di pessima qualità. E allora è all'emulazione che bisogna guardare. Già da anni gli appassionati realizzano filtri CRT pieni zeppi di opzioni attraverso le quali riprodurre un'immagine quanto più possibile vicina a quella restituita dal tubo catodico, ma di recente la loro qualità si è ulteriormente innalzata. Ne coprono praticamente ogni caratteristica: colore, luminosità, contrasto, definizione, pulizia, geometria, artefatti, tipo di maschera di separazione, cavo utilizzato, regione e tantissimo altro ancora. I risultati sono ottimi, al punto che in alcuni casi è difficile distinguere questi prodotti dalle controparti. È inspiegabile il motivo per il quale le grandi compagnie non abbiano mai implementato soluzioni simili e ci auguriamo inizino a farlo: non è solo una questione di fedeltà, i giochi sono anche più belli quando mostrati nel modo in cui s'intendeva in origine. Migliaia di parole possono essere convincenti, ma mai come in questo caso le immagini possono parlare molto di più. In conclusione quindi, per dare una dimensione a quanto finora scritto, vi consigliamo un giro su CRT Pixels, una pagina Twitter che attraverso delle fotografie confronta le immagini raw pixel con quelle del tubo catodico. E probabilmente coglierete immediatamente anche voi l'importanza di un passo in avanti nel modo in cui oggi vengono riproposti i grandi classici del passato.

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